Parallelamente alla pesca, la caccia rappresenta un altro volano per l’economia di sussistenza su cui si basa la vita in laguna e viene praticata durante la brutta stagione.
Praticata lungo tutto l’arco lagunare, è una caccia prevalentemente di penna.
Difatti l’ambiente lagunare, con tapi, dune, marine, cordoni sabbiosi litoranei e canneti, rappresenta l’ecosistema ideale per l’avifauna, ove trova cibo in abbondanza e adeguato riparo per la nidificazione.
Un metodo di caccia particolarmente utilizzato è quello dello stiopeton, una grossa spingarda ad avancarica, che in lunghezza poteva superare i tre metri e che era collocata su una piccola imbarcazione dal fondo piatto e dal bordo molto basso: la batilina.
Idonea dunque a trasportare il cacciatore e la sua attrezzatura sui bassi fondali.
E’ una caccia notturna e fondamentalmente di posta, praticata sugli ampi specchi lagunari, approfittando delle notti di luna.
Il cacciatore, una volta prossimo ai potenziali ‘ciapi’, cercava di avvicinarsi nella maniera più silenziosa possibile, muovendo la batilina per mezzo della ‘penola’, un remo molto corto e contrappesato sulla pala, di modo da vincere la spinta dell’acqua e permetterne l’immersione per la voga.
Impostato con attenzione il tiro, una tempesta di fuoco e pallini partiva dal lungo stiopetòn e si abbatteva con un fragoroso boato sugli stormi di anatidi a pelo d’acqua.
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La raccolta delle prede era poi operazione da eseguire celermente e non tutte venivano poi sempre individuate.